Cosa fa la differenza tra credere e sapere? Tra l’essere persone ingenue e sentirsi definire “un monolito fatto di logica ferrea e link in descrizione”?
Una solida epistemologia!
La serie:
Le prove dell’inesistenza di dio
Una buona epistemologia é come una fortezza, costruita pezzo a pezzo per difendere il vostro sapere dalle orde di bufale e falsitá pronte a invadere i nostri feed.
Perché ne parlo? Se siete nella cerchia di questo portale, avrete visto dei video tra i canali di konky, mio, illuminismo3.0 e di choam (+1, +2) in cui si é discorso dell’onere della prova (e un articolo sul tema).
Tutta la questione peró richiede un contesto che, mi rendo conto, é abbastanza difficile recuperare in giro: l’epistemologia appunto.
Purtroppo ad oggi non saprei cosa consigliare ad una persona che da zero voglia farsi un’idea della materia in 10 minuti. Un singolo punto d’inizio semplice e conciso, con cui costruirsi una sana e robusta epistemologia? Mai visto, non saprei davvero cosa proporre.
Quindi l’ho scritto.
Il muro di cinta
Prima di tutto i fondamentali: cos’é la veritá? che significa “sapere”?
Letteralmente si sono scritte biblioteche su ognuna di queste domande e… io punto a darvi una base in 10 minuti. Quindi occhio: ci saranno semplificazioni, intere categorie di possibili risposte omesse e addirittura li fuori ci sono fior di persone che di mestiere fanno il filosofo che mi darebbero torto su questo o quello. Ma guardando dalle torri della fortezza epistemologica che costruiremo oggi potrete almeno finire con l’avvistarli, se guardate a dovere. E avrete almeno un solido rifugio in cui sopravvivere al sonno della ragione altrui.
Ok, basta promesse e partiamo.
Veritá
Il paradigma da cui partiamo é il corrispondentismo. Si, si deve pure spiegare che vuol dire “vero” perché il termine “veritá” é qualcosa di talmente cruciale che la logica é stata ricostruita da zero nel secolo scorso solo per i problemi causati dalla parola “vero” (vedi tarski). Io vi lascio peró a una risposta semplice e aristotelica: vero é dire di quel che é che é, di quel che non é che non é.
In altre parole un valore di veritá é un qualcosa che una proposizione puó avere. Cioé della frase “il sole fa luce” possiamo dire che ha un valore sotto l’aspetto “veridicitá” (es: “vero” o “falso”) e che questo valore glie lo assegnamo in base a quanto il suo significato corrisponde o meno alla realtá.
La veritá va distinta dalle opinioni o credenze, cioé da quello di cui uno é convinto. Ogni individuo puó essere convinto o credere di sapere qualcosa senza che questa sia vera o senza che lui possa distinguere questa convinzione dalla veritá. La veritá é oggettiva ed é una sola perché la realtá é oggettiva e una sola.
Che significa sapere?
E qui siamo alla “nota a pié di pagina di platone”, la sua definizione di sapere che ancora oggi é messa in discussione era “credenza vera e giustificata”.
Le credenze le abbiamo spiegate sopra, la veritá pure, quindi ci manca la “giustificazione”. Cosa costituisce una giustificazione per una credenza? É possibile sapere qualcosa di falso? Come si distingue una conoscenza da un sapere? Ecco, qui le cose si complicano immensamente. Lasciando quindi da parte i problemi causati da questa formulazione io salto avanti perché mi restano solo 7 minuti su 10 e vi dico direttamente che questa definizione é fallata ed é meglio cambiarla. Il problema di fondo é che le sue parti sono in conflitto tra loro in maniera ricorsiva. Per distinguere una credenza da un sapere hai bisogno di una giustificazione, ma la giustificazione puó essere fatta in maniera errata senza che tu te ne accorga e quindi finiresti a credere di sapere quel che in realtá non sai che al mercato compró. Semplifichiamoci la vita invece e adottiamo il fallibilismo.
L’approccio fallibilista é molto semplice: per dire di sapere qualcosa non serve essere certi. Basta avere una “credenza sufficientemente giustificata”, al punto da essere sicuri. É quindi possibile che qualcuno finisca a sapere qualcosa che in realtá é falso? Si. E questo é inevitabile. Vedremo tra poco perché quando discuteremo come si ragiona.
L’idea di fondo é che si mette un traguardo raggiunto il quale si é arrivati a un sapere. Il traguardo non é altro che un livello di sicurezza sufficiente. Questo approccio lo troviamo per esempio nella fisica: per dire che una particella é stata scoperta serve ridurre la possibilitá di errore a 1 su 3.500.000 . Da dove esce questo numero? É completamente arbitrario. In altre discipline se ne usano altri. Ma il punto é avere un traguardo diverso da “certezza assoluta”.
In sintesi
Quindi abbiamo detto che una certa proposizione é vera in base a quanto il suo significato descrive la realtá e che noi diremo di saperla in base a quanto siamo sicuri che descriva la realtá.
Questo é il muro di cinta che ci permetterá di tenere il sapere da una parte e il resto fuori.
Le fortificazioni
Ma come facciamo a stabilire che una frase descrive la realtá? Su cosa ci basiamo per decidere quando abbassare il ponte levatoio e quando no? Come si distingue un vero complotto da uno inventato?
All’inizio nelle mura non c’é niente e nessuno, come invitava cartesio insomma, si comincia dalla completa e totale ignoranza. Non sappiamo letteralmente niente, non abbiamo il minimo pregiudizio. Non siamo neppure sicuri di esistere.
Letteralmente ogni proposizione uno voglia dire di sapere va sufficientemente giustificata.
Questa é l’ipotesi nulla: non sappiamo. E si, quindi ogni affermazione di conoscenza per entrare nelle mura paga il ponte levatoio con un onere della prova. C’é un problema: come se ne esce? Da dove si parte se tutto quel che possiamo dire é di non sapere niente?
Ma ovviamente abbiamo un’esperienza. L’unica cosa che possiamo immediatamente constatare é che c’é un’esperienza di cui abbiamo coscienza. Quale sia la sua fonte e che caratteristiche abbia é da discutere, quali siano le caratteristiche dell’esperiente é da discutere, ma l’esperienza é un dato immediatamente conoscibile. L’esperienza viene chiamata “dato empirico”. Tutta la giustificazione necessaria per dire che c’é un’esperienza é il fatto di averla. E l’esperienza intrinsecamente ha un esperiente, cogito ergo sum.
E poi? Come soddisfare l’onere oltre questo? Che guardiani mettere alla porta a repellere gli invasori? Come andare oltre il mero dato che esiste un esperiente che ha un’esperienza?
Riprendo un discorso da un dibattito: facciamo un esempio e parliamo di un sistema in cui esistono solo una saliera piena di sale e un tavolo.
Una conoscenza completa di questo sistema è fatta da esattamente 3 nozioni:
– P saliera piena di sale (premesse)
– I se la saliera viene rovesciata sul tavolo sparge il suo contenuto sul tavolo (inferenza)
– C saliera e sale su tavolo (conclusione)
Conoscere tutte e 3 (P, I e C) significa una conoscenza completa del sistema. Ma che succede se ne conosciamo solo 2? Col ragionamento possiamo ottenere la terza! Questo processo è quel che chiamiamo dimostrare o giustificare.
Ovviamente nel mondo reale possiamo sapere piú di tre proposizioni e la fantastica complessitá dell’universo si fa sentire, ma un pezzo alla volta la possiamo affrontare.
P+I = C -> deduzione
Questo é il metodo piú sicuro. Una torre inespugnabile in cui rifugiarsi quando il resto é invaso. Letteralmente quello che fanno i computer non é altro che simulare un processo deduttivo. Se le premesse sono vere e l’inferenza é valida, inevitabilmente la conclusione segue.
Ok, “vere” l’abbiamo spiegato ma “inferenza valida”? Avrete sentito parlare di fallacie logiche (vedi qui), quelli sono esempi di ragionamenti fallaci, non validi. Un metodo di inferenza (ragionamento formale) é valido quando é impossibile usarlo a partire da premesse vere e finire a conclusioni false. Insomma una deduzione non valida é quando fai un errore di ragionamento, come un errore in un calcolo matematico. E questo puó far entrare una bufala ad avvelenarti la mente e magari a far buchi nelle mura da cui far entrare altri meme pericolosi.
Per evitare questo Leibnitz sognava di una “grammatica universale” con la quale due filosofi in disaccordo potessero sedersi attorno a un tavolo e risolvere il loro dilemma con un “calcoliamo”. Il sogno si é realizzato nel 1900, complici Boole, Gentzen, Russell, Frege, Tarski, Gödel… La chiamiamo “logica formale”, qualcuno “logica matematica”. Se vuoi saperne di piú puoi iniziare da [[Un dio nel multiverso del possibile]].
P+C = I -> induzione
Come abbiamo detto, alla base di tutto c’é l’esperienza, senza quella rimarremmo bloccati nell’ipotesi nulla senza via d’uscita. Cosí invece possiamo accumulare osservazioni di fenomeni. Possiamo valutarli, stabilire se siano relazionati tra loro e quindi cercare di identificare queste relazioni.
In altre parole a furia di osservazioni possiamo stabilire correlazioni, formulare ipotesi e metterle sperimentalmente alla prova. E a furia di esperimenti possiamo stabilire relazioni causa-effetto. Grazie a questo pozzo si sopravvive all’assedio, potendo approvvigionarsi di acqua fresca senza uscire dalle mura.
Insomma date le premesse P (cause) e le conclusioni C (effetti) cerchiamo l’inferenza I (relazione causa-effetto). Ma non sempre i fenomeni che esaminiamo sono davvero collegati da una relazione simile, il rischio é di vedere un’inferenza dove c’é solo coincidenza o una terza causa nascosta con due effetti visibili (piú in dettaglio).
Questo processo ipotetico-predittivo non é affatto automaticamente corretto, anzi, per quanto sia istintivo (vedi viaggio nella mente di galileo, il miglior video che ho mai fatto, specificamente la seconda parte) é un processo che strutturalmente non puó garantirci certezze. Puó darci solo probabilitá.
Aumentando le osservazioni possiamo ridurre la possibilitá che sia solo una coincidenza che abbiamo osservato esattamente quanto previsto. Falsificare l’idea che sia solo una coincidenza é detto “refutazione dell’ipotesi nulla”. L’esperimento ovviamente deve essere mirato a smentire l’ipotesi che stiamo valutando, non a confermarla. Popper approved.
Ci sono ovviamente svariati pericoli qui e per tenerli a bada abbiamo sviluppato il metodo scientifico. Tutti i protocolli, le attrezzature, l’addestramento degli scienziati non sono altro che un modo di ridurre questi rischi. In particolare lo studio della statistica é cruciale qui perché si parla di probabilitá.
Specialmente per il metodo scientifico peró posso raccomandare un libro introduttivo. E un mio vecchio articolo sul tema della letteratura scientifica. Cioé due. Insomma tre.
I+C = P -> abduzione
E qui si arriva alla frutta. I metodi solidi sono gli altri due, ma che succede in mancanza? Davvero non si puó dire nulla? No. Qualcosa si puó ancora dire. Possiamo fare considerazioni che ci permettono di passare dalla completa ignoranza a un qualche grado di confidenza. Dubbioso magari, limitato, sfumato, una trincea di fango e paglia, ma almeno non inesistente.
Purtroppo il rumore delle discussioni in questo terzo caso spesso finisce col sovrastare gli altri due metodi, ma sia chiaro: dove c’é una prova deduttiva o induttiva il resto va fuori dalla finestra.
Il metodo in questione chiamato “abduzione” é meglio noto come “inferenza alla miglior spiegazione”. Se abbiamo un dato empirico (conclusione) e una possibile relazione causa-effetto (inferenza), allora possiamo darne spiegazione (risalire alla premessa). Questa é letteralmente una fallacia logica di affermazione del conseguente, quindi nessuno pensi che un’inferenza alla miglior spiegazione é qualcosa di solido.
(Nota: se sentite qualcuno dire “é una deduzione abduttiva” é ufficiale che non sa manco che significano quelle parole.)
Il problema é che nel mondo reale per ogni C ci sono tante I. Ogni fenomeno ha tante spiegazioni possibili, non certo una sola.
Quindi che si fa? Si fa il confronto. Si mettono a paragone le possibili spiegazioni e mandando in sortita un battaglione di criteri si decide che una é la “migliore”.
Uno di questi criteri probabilmente lo conoscete: il principio di parsimonia, nella storia ha avuto molte forme, il “rasoio di ockham” é la piú famosa. Si valuta come “migliore” una spiegazione che richiede meno ipotesi. Un altro é la capacitá esplanatoria, ovvero si valuta “migliore” una spiegazione che riesce a spiegare piú cose contemporaneamente. E si, ce ne sono tanti altri.
Ma attenzione: se ci sono tanti criteri di misura, che succede quando non danno gli stessi risultati? Bella domanda. Fate voi. Sul serio, non esiste un metodo. Ho giá detto che siamo alla frutta?
L’abduzione é un’arte, non una scienza. Non c’é calcolo che tenga da usare, é discussa a botte di retorica. E molti filosofi non fanno altro.
Occhi aperti
I dieci minuti sono finiti, ma se vorrete darmene altri cinque, dopo la costruzione di questa fortezza vorrei anche parlare delle forze attaccanti, dopo tutto é importante conoscere il tuo nemico.
Orgoglio e pregiudizio
Per quanto il termine pregiudizio abbia una connotazione negativa, un tempo era visto come un approccio legittimo al sapere, addirittura ancora oggi c’é gente che seriamente prova a dire che é ok avere un pregiudizio filosofico e ci sono filosofi che trattano questa posizione come rispettabile.
Ma cos’é un pregiudizio? nient’altro che il rifiutare di partire dal “non sappiamo” e decidere senza base alcuna di partire da qualcos’altro. Che si tratti di Plantinga o del terrapiattista inventore del metodo zetetico, di un presupposizionalista o dell’idea islamica che tutti sono naturalmente mussulmani, l’idea é la stessa per tutti: credi a quel che dico e non farti domande, non serve giustificarlo. Qualcuno fará finta che c’é una sensazione diretta, un senso magico speciale chiamato sensus divinitatis, qualcun altro dirá che devi credere ai tuoi occhi e se vedi un orizzonte piatto allora é piatto.
La questione non é complessa: questi dicono di sapere qualcosa per cui non hanno la minima giustificazione, questo é irrazionale. Non mettono in discussione il loro pregiudizio e anzi fanno di tutto per mantenerlo, a costo di inventare teorie del complotto o intere metafisiche dal nulla. Questa armata fará ampio uso di fallacie, ma puó essere spazzata via dal sussurro di una domanda: “perché?”.
lo dice Tizio!
Se c’é una negazione dello spirito illuminista, é lo spirito di minoritá, il rifiutare di prendersi la propria responsabilitá epistemologica e delegarla ad altri. Del credere insomma a qualsiasi cosa dica Tizio, cosí, per sentito dire. Senza prove, spesso a dispetto delle prove, senza riflessione, senza dubbio. Al piú accampando scuse superficiali che non reggono al minimo scrutinio.
Il sentito dire in questione puó venire da una persona in carne e ossa, un libro, un ruolo d’autoritá. A seconda della fonte tendenzialmente si cambia nome alla fallacia che descrive questo comportamento. Se é un titolato, si parla di ricorso all’autoritá. Se é un libro sacro si parla di fede. Se é aristotele é un Ipse Dixit.
Certo, se uno é completamente ignorante in una materia e ha buone ragioni per ritenere ben ferrate e sincere una o piú persone su quella materia, affidarsi alle loro parole puó essere un rapido rinforzo di mercenari… ma bisogna ricordarsi Macchiavelli: coi mercenari non si difendono regni, perché non hanno lealtá.
Non c’é niente di piú facile che fingere competenza o attribuirla a chi non ne ha, di abusare dei propri titoli per parlare di materie in cui si é ignoranti e di sfruttare la propria reputazione per avanzare falsitá per secondi fini. Plotoni interi di medici laureati spacciano zuccherini per medicine, a volte col supporto dello stato. Basare la propria difesa sui mercenari porta alla rovina.
Questo tipo di comportamento arriva addirittura a deliri paradossali come il dire di credere a qualcosa che non si riesce a capire. Ricordate la definizione di “vero”? Ricordate che serve un significato da far corrispondere alla realtá? Ecco, chi crede per sentito dire arriva a dire che sono vere frasi di cui dichiara apertamente di non conoscere il significato. Qui il castello é giá espugnato e una bandiera avversaria sventola su di esso, ma il suo abitante sta semplicemente facendo finta che sia la sua. La piú autentica apoteosi dell’ignoranza e irrazionalitá: “quel qualcosa lí é vero, solo che non so cosa sia”. Lo chiamano “mistero della fede”.
Gli occhi del cuore
Un altro approccio pericoloso é quello di chi si affida all’emozione come giustificazione.
Sia chiaro: le emozioni sono utili. Sono una scorciatoia evolutiva importante e parte del nostro processo decisionale. Le emozioni insomma sono un utile strumento per la nostra sopravvivenza e qualcosa che va ben considerato per quanto concerne la nostra felicitá. In condizioni di emergenza una decisione emotiva ha l’immenso pregio di essere rapidissima e possibilmente accurata. In materie estremamente incerte e personali puó essere l’indizio che ci eviterá decisioni tragiche… ma mettete le emozioni a guardia del ponte levatoio e vi troverete invasi in men che non si dica.
Le emozioni sono incostanti, cambiano a volte in base al nostro stato emotivo di fondo, quanto abbiamo mangiato quel giorno, il livello di stress, a cos’altro abbiamo pensato pochi secondi prima.
Quindi cercare di giustificare le proprie credenze in base a un “ma ho sentito un’emozione pensando a questo” é quantomeno azzardato. Non solo, le veritá piú importanti sono spesso quelle piú amare e le falsitá piú grandi le piú dolci.
Fine? no, inizio.
Questo, come dicevo, é solo un inizio. Qui ho provato a dare qualche intuizione, qualche puntatore, insomma darvi una prima linea difensiva, far vedere come si affronta un assedio e avvisare di stare attenti agli errori piú immediati… ma per costruirsi un castello ben fatto ce ne passa. E se non avete mai badato con attenzione a cosa usavate per difendere il vostro sapere, vi raccomando di riesaminare tutto quello che eravate convinti di sapere. Quando l’ho fatto io, ho dovuto ricredermi su parecchie cose. E ne é valsa la pena.